Gli americani si innamorano dei pit stop: ecco i segreti

La Formula 1 arriva negli Stati Uniti e i quotidiani americani si tuffano in grandi approfondimento sul campionato. Nella sua newsletter serale www.loslalom.it segnala un bellissimo servizio online del washingtonpost.com sui maghi del pit stop. Dategli un’occhiata ne vale la pena.

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A un certo punto si sente una voce dalla radio. La parola è una sola, spesso ripetuta più volte. Box, Box. Un attimo dopo, uno sciame di una ventina di persone si precipita sulla pit lane, ed è come se inghiottisse la macchina. I microfoni catturano due suoni. Il primo è dzzzzt. Il secondo è dzzzzt. Luci posteriori, frizione, acceleratore, via. È questa l’arte del pit stop e dentro ci sono gesti da manuale e piccoli segreti.

Si è messo a studiarli tutti, uno per uno, il Washington Post in uno di quei servizi interattivi assai tipici del giornalismo americano. Esistono team velocissimi e team più lenti. Tra le saette e le lumache la differenza è di un secondo. Uno solo. Lo stesso tempo che fa la differenza tra un grande centometrista da 9.90 e uno mediocre. La differenza si misura sull’arco dell’intera stagione, sulla media. Tutti sono in grado di cambiare una volta le ruote in 2 secondi e 6 decimi. Il tocco magico consiste nel saperlo fare ogni maledetta domenica. La Red Bull sta fra la media di 2.55 del 2018 e i 2.63 di questa stagione. La Haas fra i 3.19 e i 3.86. La Ferrari si colloca in mezzo. I tempi si sono rallentati un po’ perché gli pneumatici sono diventati più grandi. 

Quel che non cambia mai è la precisione necessaria in questo sofisticato lavoro di squadra. «Ventidue persone che devono essere perfette insieme per due secondi», secondo la definizione di Jonathan Wheatley, direttore sportivo della Red Bull. La pit lane è leggermente diversa su ogni circuito, ma è sempre vicina alla griglia di partenza. Le posizioni nei box vengono assegnate in base all’ordine di arrivo di ogni team nel campionato costruttori della stagione precedente. Nella maggior parte dei casi, la squadra con più punti ottiene il box più vicino a una delle estremità, la squadra al secondo posto è la successiva e così via. 

Come funziona | Due persone sollevano l’auto sui martinetti, uno anteriore e l’altro posteriore. Nelle nostre macchine, i martinetti li chiamiamo cric. Peppe ‘O Cric per esempio è quel personaggio eduardiano di Napoli Milionaria che mette la spalla sotto una macchina, la solleva con questa sua forza bestiale e consente a un complice di sfilare la ruota. 

Non tutti gli uomini ai martinetti della Formula Uno si chiamano Peppe, Giuseppe, Joseph, non risulta. Ma devono sollevare l’auto affinché tre meccanici per ogni ruota possano fare il loro lavoro. Uno afferra e sfila, uno monta la nuova, il terzo è l’uomo con la pistola, quello che allenta e stringe il dado della ruota. Pare che sia il compito più ambito, il più prestigioso. Nella maggior parte delle fermate, altri due meccanici regolano l’ala anteriore. Altri ancora stanno intorno e osservano, fanno piccoli interventi di manutenzione, tengono gli estintori, insomma non si sa mai. A differenza dei meccanici in NASCAR, reclutati come dei cameo per il gran spettacolo, in Formula 1 non sono per forza persone muscolose. Fanno il loro lavoro di meccanici, tecnici, specialisti informatici, ingegneri. Il pit stop richiede allenamento e preparazione, ma non è il loro unico lavoro. La NASCAR consente solo a cinque persone di riparare un’auto nel box, la IndyCar ne permette sei. Una in più viene autorizzata per pulire il parabrezza. La sosta in Indy dura fra i 6 e i 7 secondi e mezzo, in NASCAR varia fra gli 8 e gli 11 secondi. 

La suddivisione dei compiti | Il team manager della Haas, Pete Crolla, descrive il pit stop come «il punto più carico di adrenalina e di alta pressione sanguigna del week-end». Il caposquadra della Haas, Guenther Steiner, ha detto al Washington Post che si tratta di un lavoro ingrato, perché le fermate pasticciate in tv vengono meglio e ti fanno fare quel tipo di figura là. Se tutto va bene, nessuno ti dice niente. Del resto, come dice quel tipo nel film Argo: se volevamo gli applausi, andavamo a lavorare al circo

I meccanici vengono allertati con un preavviso di una trentina-una quarantina di secondi. Mettono il casco, i guanti, le tute ignifughe, e vanno. Anche se le auto non fanno rifornimento durante le gare dal 2009, ogni tanto ci scappa un incendio. Quelli che montano la ruota, afferrano pneumatici nuovi ancora avvolti nelle coperte riscaldate. Le gomme più calde hanno maggiore aderenza, quindi le squadre le tengono in garage diventar roventi, fino a toccare anche i 70 gradi. Il team sente un secondo avvertimento quando la macchina è arrivata a 15 o 20 secondi dal box. È in quel momento che si tolgono le coperte termiche. Il pilota deve tenere il massimo della velocità consentita dentro i box il più a lungo possibile, prima di premere il freno.

Nella maggior parte dei circuiti è di 80 km orari, quando le corsie sono più strette come a Monte-Carlo non può andare sopra i 60. Il lavoro di precisione consiste nel fermarsi sui segni stabiliti dalla squadra e misurati al millimetro. Un cartello chiamato lollipop è appeso sopra il punto esatto in cui dovrebbero inchiodarsi gli pneumatici anteriori. È la parte più difficile del pit-stop per il pilota, per generale ammissione. «Ogni 10 pit stop, lo faccio in modo perfetto una volta, o forse due» ha spiegato Nico Hulkenberg. Se un pilota centra perfettamente i segni, l’auto tocca con il muso il martinetto anteriore e si ferma a pochi centimetri dal naso del tipo che tiene il cric. Se sbaglia leggermente la misura, i meccanici perdono tempo prezioso per gli aggiustamenti. Se un pilota sbaglia del tutto, un meccanico si fa male. I meccanici sono uomini di grande ottimismo. Hanno piena fiducia nel fatto che il pilota faccia per bene il suo lavoro. Anche quando ti vedono arrivare sfrecciando a 80 km all’ora, restano impalati là, senza muoversi. Servono nervi d’acciaio, per essere Peppe ‘O Cric

La pistola | Una macchina da corsa pesa circa 900 chili. Jonathan Wheatley ha eseguito o gestito un pit stop per 33 dei suoi 56 anni. Prima di diventare direttore sportivo della Red Bull, c’era lui alla guida delle operazioni della Benetton durante un pit stop al Gran Premio di Germania del 94. A quel tempo, le auto potevano ancora fare rifornimento ai box. La benzina schizzò da un ugello sulla macchina e in diretta tv si accese una palla rovente. Wheatley dice che quel calore se lo ricorda ancora. Il primo gesto fu strapparsi gli occhiali, perché l’aria all’interno era diventata insopportabile. Grazie alle tute antincendio e agli estintori, gli unici feriti con delle lievi ustioni furono tre membri dell’equipaggio e il pilota. Il pilota era Jos Verstappen. Tre anni dopo nasceva Max. Nel 2013 una ruota fissata in modo maldestro si staccò da una Red Bull e ferì un cameraman. Alcune innovazioni hanno reso l’operazoone più sicura e rapida. Le pistole sono adesso strumenti ad altissima tecnologia, per lo smontaggio del dado centrale di uno pneumatico. Dice il Washington Post che tenere una di queste pistole in modo sbagliato, può anche romperti il polso durante le operazioni.

Sono attrezzi così sofisticati che possono fare la differenza. Fanno parte del divario finanziario, tecnologico e prestazionale che esiste fra un team e l’altro. Sono profette in monopolio dall’azienda italiana Paoli, così come per la NASCAR, l’IndyCar e le altre serie, ma i team possono personalizzarle. Quella della Red Bull  cambiano automaticamente la direzione dall’allentamento del bullone con il grilletto. Sono pistole intelligenti, ecco, diciamo così. Sanno da sole se tutto è andato per il verso giusto. Alla Haas hanno il modello base e alla fine dell’operazione il bullone se lo devono controllare a mano. La differenza nelle frazioni di secondo si spiega da questi piccolissimi dettagli. 

Max Verstappen dice che se in un’altra vita lui fosse un meccanico, gli piacerebbe smontare la ruota. Pérez vorrebbe stare alla ruota anteriore destra. I meccanici dicono che il pit stop perfetto si capisce subito. Lo riconosci perché si sentono due suoni. Il primo è dzzzzt. Il secondo è dzzzzt. 

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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